Ogni casa una storia

Sogni

«Silvia, mi ascolti? Ti ho chiesto se puoi andare a fare la spesa.»

«Ah, sì, scusami. Certo. Cosa devo comprare?»

Dall’altra parte del telefono, sento gli occhi di mio marito che roteano verso l’alto: «Te l’ho già detto, ma oggi sei sulle nuvole. Ti mando la lista per Whatsapp, va bene?»

Giornata pesante: la mente zeppa di pensieri e la borsa carica di documenti.

Questo lavoro è bellissimo e durissimo allo stesso tempo: sono 3 mesi che affronto più sfide del solito e, se penso che oggi ACER ha richiesto un intervento di mediazione all’abitare, con la pianificazione di un centro estivo per bambini e ragazzi, vorrei solo scappare. Al condominio Randi ci sono 20 scalmanati tra i 5 e i 13 anni, teppistelli che rompono luci, ammaccano sportelloni e fanno un casino infernale. Per me, l’unico altro modo di chiamare i bambini è persone, ma oggi sono stanca e fatico a lasciare da parte i pregiudizi: sono già dei delinquenti?

«Silvia! Silvia!»

Con lo sguardo fisso sul monitor che indica quanto manca all’arrivo dell’autobus, non mi rendo conto che stanno chiamando proprio me. Una mano sulla spalla mi fa voltare: è di una ragazza sorridente, con una lunga treccia corvina.

«Ti ricordi di me? Sono Isabela, di Palazzo Cambara.»

«Isabela! Come stai? Che piacere rivederti». Ci abbracciamo, non la vedevo da oltre dieci anni. Ci siamo conosciute durante un servizio di mediazione e animazione nelle case popolari in cui abitava, dove d’estate, con le scuole chiuse, le segnalazioni si moltiplicavano e la tensione verso i minori era alta. Mentre la osservo, il suo sorriso soddisfatto apre un cassetto della mia memoria:

«Lavori all’ospedale qui vicino?»

«Sì, esatto» dice con orgoglio «Quindi te lo ricordi?»

«Come potrei dimenticarlo: volevi fare il medico.»

«Le cose sono andate diversamente, mi sono innamorata di un altro lavoro e oggi sono un’ostetrica.» Non riesco a dire nulla. Isabela mi guarda come se potesse leggere i dubbi che oggi mi attanagliano.

«Lo devo anche a te, sai? E anche alla Teresa. Quel centro estivo è stato fondamentale», intanto si siede sotto la pensilina. L’autobus è in ritardo.

«È stato bello avere uno spazio dedicato. I grandi si rivolgevano a noi bambini solo dalla finestra per urlarci di andare a calciare il pallone da un’altra parte. Ti ricordi, invece, quando abbiamo organizzato la mostra in cortile e tutti i genitori sono venuti a vederla come se fosse un museo a cielo aperto? Quel giorno la mia mamma e quella di Claudio hanno deciso che avremmo fatto i compiti insieme. È ancora uno dei miei migliori amici, è un maestro di scuola elementare.»

Mi ricordo bene di Claudio: il più mingherlino di tutti, un carattere irascibile e un fratello spacciatore.

«Fai ancora la mediatrice sociale?»

«Sì. Per coincidenza, proprio oggi i nostri colleghi di ACER hanno proposto a me e a Teresa di occuparci di una situazione simile: un condomino con tante famiglie straniere che non dialogano tra loro, perché non hanno una lingua comune. I bambini si organizzano secondo le loro regole, senza preoccuparsi di chi la mattina si alza presto e torna a casa tardi. Non è semplice.»

«Voi, però, lo avete fatto sembrare così.»

«Ero più giovane! È stato il primo progetto organizzato con Teresa, eravamo cariche.»

«Le attività e i colloqui con le famiglie hanno aiutato a rompere il muro tra bambini e adulti e i nostri discorsi hanno aiutato me a capire che il mio futuro non era segnato da Palazzo Cambara.»

Isabela era una bambina intelligente e sensibile, aveva capito che gli alloggi popolari erano un concentrato di fragilità. Parlare con lei delle sue materie preferite a scuola, dei cantanti che le piacevano e soprattutto dei suoi sogni era un modo per dar dignità ai suoi desideri. Lo spazio ristretto della casa popolare poteva essere un rifugio, o semplicemente un luogo in cui abitare, ma non doveva essere una prigione.

«Grazie, Isabela. Oggi è il giorno giusto per sentire queste cose. Questo incontro non è capitato per caso.»

«Lo credo anche io. Del resto, stanotte c’è stata la luna crescente: sposta le maree, fa nascere i bambini e… cambiare il corso degli eventi!»

Un signore davanti a me si sbraccia per fermare un autobus in arrivo. È il mio. Mi alzo dalla panchina e saluto Isabela.

Tra le corsie del supermercato, comincio a pensare alle attività da fare: una merenda in cortile, i laboratori con la pasta di sale… Bisogna trovare dei giochi con cui insegnare le regole condominiali. E dobbiamo potenziare le relazioni tra i bambini e le famiglie, come è successo con Isabela e Claudio. Creare uno spazio di condivisione, di ascolto, di rispetto. Ricordare che ogni situazione ha una soluzione. Ricordare che ogni bambino ha un potenziale. Ricordare che ogni persona ha una storia. Ricordare che ogni sogno può diventare realtà. È possibile. Lo avevo già fatto. E lo avrei fatto ancora.

Tratto dal libro “Ogni casa una storia” – edito da Fratelli è Possibile e Acer Rimini dicembre/2023

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