“Chinarsi sulla vita”: una lettura antropologica dell’esperienze di infermità e cura illuminate dal mistero cristiano
Lo scorso 18 giugno, abbiamo accolto con piacere l’invito a partecipare al primo Simposio del Cammino Sinodale proposto dalla Basilica di San Pietro dal titolo “Chinarsi sulla vita”, organizzato dalla Fabbrica di San Pietro e dalla Fondazione Fratelli tutti.
Il Simposio, primo di tre incontri annuali, è il punto di partenza di un percorso formativo itinerante che accompagnerà al Giubileo 2025.
Alla presenza del Cardinale Mauro Gambetti e del Segretario della Fabbrica di San Pietro Mons. Orazio Pepe, sono intervenuti Don Massimo Angelelli (Direttore della CEI), il professore Tonino Cantelmi (psichiatra-psicoterapeuta) e la dott.ssa Mariella Enoc (Presidente Ospedale Psichiatrico Bambin Gesù). Gli interventi sono stati moderati da Padre Francesco Occhetta (Segretario generale della Fondazione Fratelli tutti).
Al centro, dunque, è stato posto il tema della cura e di cosa significhi, oggi, curare. Il Simposio ha portato alle nostre coscienze una domanda su cui ci siamo interrogati: qual è la vera innovazione della cura?
Una prima risposta arriva dai gruppi di lavoro: la vera innovazione della cura, oggi, sembra essere quella di tornare alle funzioni originali della relazione, ovvero, fornire prossimità, vicinanza, affetto, conforto e cura.
Un tempo, infatti, non essendo la scienza così avanzata, la parte più significativa della cura consisteva nello stare vicino al malato facendosi prossimi, non lasciandolo solo, rivolgendogli parole di consolazione e conforto e infondendogli il coraggio e la forza per combattere la sua malattia. Un tempo, scarseggiando la scienza, primeggiava l’umanità nel processo di cura.
Nel tempo, gli incredibili progressi della scienza medica hanno fatto sì che tutte quelle che erano le funzioni primitive della relazione venissero sostituite da farmaci, prassi e protocolli. È per lo più dentro ai farmaci che le persone hanno iniziato a cercare la speranza, il conforto e il coraggio nell’affrontare la loro malattia. Oggi, la persona malata si sente quasi sovrastata dalle strutture mediche, si sente spaventata dal tecnicismo linguistico dei medici e chiede spesso di potersi curare a casa. C’è bisogno di un ritorno ma non all’abitazione, bensì alla relazione! C’è bisogno di tornare alla persona.
È emerso, dunque, che innovativo fa rima con primitivo e che la relazione è una fonte di cura essenziale.
C’è tanto bisogno in questo passaggio storico di tornare alle origini e diventare più capaci di costruire negli altri la speranza, di tornare a farsi prossimi e vicini ai fragili e ai malati e ad infondere loro coraggio e forza.
Tutte le principali scienze che si occupano di cura hanno dovuto accettare i limiti della loro stessa materia rilevando, così, la necessità di tornare ad una visione olistica della cura. Soprattutto in quei particolari passaggi del fine vita a causa di malattie terminali. Come ci ricorda Papa Francesco: “anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare” e che il servizio alla salute delle persone diventa una missione perché necessariamente trascende dai limiti di ogni scienza.
Emerge, quindi, evidente da questa bella esperienza formativa che il ritorno radicale alla relazione vera, al concetto di vita fraterna e all’amicizia sociale rappresentino le vie privilegiate per attualizzare e storicizzare lo spirito di comunione e una testimonianza capaci di curare le ferite fisiche, psichiche e spirituali.